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Spagna: in Catalogna continua il lavoro per introdurre il reddito di base. Intervista a Sergi Raventós dell’Ufficio per il progetto pilota.

Con un occhio al prossimo anno (2023), la Catalogna sta lavorando per un progetto pilota di Reddito di base destinato a cinquemila persone per sperimentare e studiare i vantaggi di questa misura. Il governo catalano ha creato l’ Ufficio del progetto pilota per l’attuazione del reddito di base il 22 giugno 2021 e il suo capo, Sergi Raventós, spiega che hanno ancora molto da sistemare.

Sergi Raventós , PhD in sociologia presso l’ UAB , si è dedicato per molti anni al campo della salute mentale ed è uno dei fondatori della Basic Income Network.  Di seguito l’intervista a Sergi Raventos:

L’Universal Basic Income (UBI) sarebbe la buona notizia in un panorama desolato in cui il numero di persone che hanno difficoltà a vivere una vita dignitosa è in aumento?

È una proposta che risponderebbe a diversi problemi, anche se non può essere l’unica proposta. I problemi sul tavolo sono tanti e molto complicati: accesso alle abitazioni, aumento dei prezzi, aumento del costo dell’energia etc. sono questioni che vanno oltre il reddito di base. Nonostante questo, poterne parlare e poter portare avanti un piano pilota come quello che proponiamo è una buona notizia.

Che aspetto ha questo piano pilota?

Si tratta di un piano pilota ambizioso , perché rivolto a cinquemila persone, la metà delle quali sarà selezionata casualmente.  2.500 saranno dislocati in due comuni della Catalogna in modo da poter analizzare l’esperienza di un’intera comunità che riceve un reddito incondizionato, individuale e universale. È ambizioso, innovativo e originale, perché unisce due metodologie. Confidiamo che ci darà una serie di indicatori che ci permetteranno di valutare l’incidenza nella salute, nei servizi sociali, per vedere se i giovani hanno possibilità di emancipazione, per vedere quali dinamiche familiari si modificano, ed inoltre vedere se prendono vita progetti di cooperazione o di impresa. Può darci molte informazioni.

Ma insistiamo sul fatto che si tratta di un piano pilota.

Sì. È chiaro che con tutti i problemi che abbiamo menzionato, sarebbe appropriato un reddito di base su scala più globale possibile, ma il nostro obiettivo per ora è modesto. Parliamo solo di cinquemila persone. Eppure sarà il piano pilota più ambizioso mai realizzato in Europa.

Farlo in un’intera comunità è una novità?

Non è stato fatto in Europa, ma in Namibia, India e Canada. Lo faremo in due interi comuni. L’accostamento dei due comuni con la selezione casuale di individui e nuclei familiari non è mai stato fatto, né ha raggiunto le cinquemila persone. Ed è anche innovativo per via dell’importo che sarà di ottocento euro per adulto e trecento per minorenne. Siamo, quindi, davanti a un progetto pilota che può fornire molte informazioni. La maggior parte dei piani pilota ha per lo più valutato gli effetti individuali, mentre noi lo su due intere comunità. E per quanto riguarda l’importo finanziario, riteniamo che sia sufficiente e, in linea di principio, i bisogni primari sarebbero coperti.

E anche a Barcellona. Ma è stato fatto con persone che erano utenti dei servizi sociali. E in Finlandia con disoccupati con una cifra di 560 euro. Il Galles vuole farlo con i giovani e l’Irlanda con persone del campo della cultura. Ci differenziamo in quanto lo faremo con interi comuni. Solo il 10% più ricco delle persone sarà escluso. Un reddito di base, infatti, deve significare una redistribuzione della ricchezza delle persone più ricche verso la società nel suo insieme. È chiaro che abbiamo sempre più una concentrazione di ricchezza in poche mani e con questo 10% escluso vogliamo renderlo evidente.

La domanda ricorrente è se le persone che avranno un reddito di base smetteranno di lavorare…

Forse alcune persone ridurranno l’orario di lavoro, ma quando chiediamo alle persone cosa faranno se ricevono un reddito di base, la stragrande maggioranza dice che non smetterà di lavorare. E se smettono di lavorare è perché saranno liberi di prendere quella decisione e questo vuol dire che il loro lavoro non è così soddisfacente. Il reddito di base ci dà più libertà di decidere. Rispetto alla maggior parte dei sussidi, il reddito di base presenta due vantaggi principali: tecnicamente porrebbe fine alla povertà e aumenterebbe il potere contrattuale nei luoghi di lavoro, aumentando così la capacità delle persone di decidere i propri piani di vita. Pertanto, se qualcuno è infelice sul lavoro, situazione che può portare a disagio, può decidere di restare o andarsene.

Questo può significare un grande cambiamento.

È importante, perché evita che il lavoro si trasformi in ricatto. Una persona non è libera se non ha garantiti i bisogni materiali dell’esistenza. Nessuno dovrebbe essere costretto a quella che Aristotele e Marx chiamavano “schiavitù part-time”, che è il lavoro salariato, perché con un reddito di base avrebbero la libertà di dire di no. E questo per noi è fondamentale. E insisto sul fatto che nei sondaggi la stragrande maggioranza delle persone afferma che non smetterebbe di lavorare anche se percepisse un reddito di base. Dicono però che passerebbero più tempo con la famiglia, studiando, partecipando ad attività associative. Dicono che potrebbero considerare di ridurre l’orario di lavoro, di cui approfitterebbero per unire studio e lavoro.

In effetti, i risultati effettivi dovranno essere visti.

Vedremo se le persone smettono di lavorare in massa oppure il contrario. E dovremo valutarlo tenendo conto che ci sono già persone che lasciano il lavoro perché non ce la fanno più, pensano di essere pagate poco, non sono contente. Succede già ora ed è estraneo al fatto che ci sia il reddito di base. Molte persone sono povere nonostante lavorino. Il 14% ha un lavoro povero. Il reddito di base potrebbe fornire una risposta a tutto questo.

Come?

I benefici attuali non sollevano le persone dalla povertà, il reddito minimo garantito e di sussistenza non funzionano. Pertanto, dobbiamo mettere sul tavolo il dibattito del reddito di base. Cosa accadrebbe se, oltre al sistema sanitario e scolastico, avessimo un reddito garantito? Staremmo meglio? Ci sono molte persone che sono convinte che sì, staremmo meglio.

Un reddito di base darebbe potere decisionale alle persone…

Ci sarebbe più capacità negoziale in modo che qualcuno possa andare a dire al capo che se le condizioni di lavoro non cambiano, se ne andrà. La libertà aumenta. Proprio perché può cambiare alcuni rapporti di potere e di dominio, ci saranno delle persone che saranno contrarie. Crediamo che l’80 o il 90% delle persone, invece, sia interessato a riceverlo.

Abbiamo parlato di salute mentale. È dimostrato che la tranquillità di avere un reddito, i bisogni primari coperti e condizioni di vita dignitose influenzano il benessere psicologico.

Molti studi e anche i risultati dei piani pilota realizzati altrove rilevano che ci sono indicatori legati allo stress, alla tranquillità psicologica e al benessere che migliorano. È chiaro che avere un reddito garantito per almeno due anni a venire riduce l’incertezza e l’insicurezza economica di cui soffre la maggior parte delle persone. Sappiamo che la tranquillità finanziaria migliora il benessere psicologico. Veniamo da una crisi del 2008 e del 2010, che ha avuto un grande impatto e molte persone ne stanno ancora subendo le conseguenze. Questo si è unito alla crisi del Covid e alla guerra in Ucraina, all’aumento dei prezzi, etc. Ci sono persone con disagio economico e la sofferenza psicologica si manifesta con ansia, depressione, aumento degli ansiolitici, aumento dei suicidi. C’è tutta una serie di problemi sociali che non sono stati studiati troppo per sapere come influiscono sulla salute mentale.

Torniamo al piano pilota. Dove sarà fatto? quando?

Siamo a buon punto: l’idea, la metodologia, abbiamo lavorato alla valutazione con Ivàlua (Istituto Catalano per la Valutazione delle Politiche Pubbliche), abbiamo un advisory board, creeremo un comitato scientifico e un comitato etico. E dobbiamo chiudere aspetti legali come il modo in cui il reddito di base si adatta all’attuale reddito minimo vitale. Sappiamo già che per come stiamo andando non inizieremo ad erogare il reddito di base prima del 2023, ma magari invieremo le lettere informative e informeremo le persone che potrebbero percepire il reddito di base. L’amministrazione richiede tempo e vogliamo essere molto al sicuro. Non vogliamo pentirci di voler andare troppo veloci.

Hai bisogno di più tempo di quanto pensassi?

Confidiamo che sarà operativo il prossimo anno. C’è anche la questione dei bilanci. Anche se non possiamo dimenticare che il programma pilota del reddito di base era uno dei progetti prioritari del piano governativo catalano.

Tratto da Xarxanet.org 

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